Social network: il futuro è a Mosca e Pechino, gli americani ci ripensano?
Un collocamento in Borsa da 45 miliardi potrebbe fare del 2012 l’anno di Facebook, con fuochi d’artificio quali non si videro dal 1999, l’anno zero della prima New Economy (nella foto: Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook). Oppure l’esatto contrario: potrebbe essere questo l’inizio della fine del più importante social network del pianeta, le cui vicende sono seguite con palpitazione da tutti gli emuli, partner e concorrenti come Twitter Zynga e Linkedin, nonché da chiunque voglia capire in anticipo che strade imboccherà la società digitale. Con 800 milioni di utenti, Facebook è ormai nell’èra della maturità, e tuttavia le sue prospettive sono molto diverse a seconda che le si osservi da New York o da Mosca, da Milano o dal Cairo. Attenti a quel che sta accadendo tra i ventenni americani. “Facebook è pericoloso per chi cerca lavoro”, è una frase che sentite dire sempre più spesso in quella fascia di età. Proprio coloro che per primi scoprirono l’importanza dei siti sociali quando erano adolescenti, oggi si sentono i più vulnerabili: hanno messo in circolazione troppe informazioni su se stessi, anche quelle che una volta setacciate dai datori di lavoro possono ritorcersi contro un giovane neolaureato. Con 200 milioni di utenti in America, cioè i due terzi della popolazione, Facebook comincia a perdere colpi proprio tra la generazione che dovrebbe deciderne il futuro. Ma la saturazione del mercato più avanzato si accompagna con un boom dello sfruttamento commerciale. Se i giovani diventano più cauti prima di denudarsi (a volte letteralmente) su un sito sociale, in compenso la pubblicità e il marketing se ne impadroniscono con un entusiasmo senza precedenti, penetrano ogni angolo, occupano ogni spazio lasciato libero. Facebook entra così nell’età adulta in tutti i sensi: il suo pubblico si fa più adulto, e le imprese capiscono che possono usarlo come un “Internet parallelo”. In quanto a Twitter, fa scalpore la causa giudiziaria che oppone un’azienda americana a un suo dipendente, la prima volta in cui una società pretende di “possedere” il copyright sui messaggi e di sfruttarne le potenzialità economiche. Di questo si tratta: i social network ambiscono, con buone probabilità di successo, a diventare il vero spazio digitale della persona, l’approccio a Internet più individualizzato o ritagliato sulle preferenze di gruppo, di comunità di idee e di interessi. La battaglia per il controllo diventa strategica. Questo spiega anche il paradosso dei due mondi: se la penetrazione dei siti sociali conosce un rallentamento tra le nuove generazioni dell’Occidente, al contrario le prossime “primavere democratiche” utilizzeranno sempre di più questi strumenti. E’ tra i giovani cinesi e arabi, russi e un giorno perfino nordcoreani, che l’entusiasmo per i social network continuerà ad aumentare. Non importa se a Pechino sono proibiti sia Facebook sia Twitter, i loro “cloni” locali si stanno dimostrando molto più refrattari del previsto alla sorveglianza del regime. La comunicazione sociale fugge in tutte le direzioni, riacciuffarla è difficile come acchiappare l’acqua con uno scolapasta. Il caso cinese dimostra che il fenomeno dei social network prescinde dalla “marca” aziendale e dalla nazionalità, avanza implacabile verso nuove frontiere.
fonte: rampini.blogautore.repubblica.it
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