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giovedì 2 febbraio 2012

Facebook, la quotazione in Borsa è pronta. E ora?

Facebook, la quotazione in Borsa è pronta. E ora?

Il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg (AP Photo/Craig Ruttle)
Il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg (AP Photo/Craig Ruttle)

Dopo tante chiacchiere è arrivata finalmente l’Ipo di Facebook. Cinque miliardi di dollari, quindi, una cifra che a qualcuno pare addirittura modesta, considerate le indiscrezioni delle ultime settimane (si era parlato di un’offerta iniziale di 10 miliardi di dollari). Ma va bene così. Come sottolinea Gizmodo, se ti presenti a un’asta per scapoli puntando troppo in alto nessuno ti chiederà mai un appuntamento.
Prendiamo dunque quest’Ipo per quello che è: un primo passo per ingolosire gli investitori in vista del grande sbarco in borsa previsto per il mese di maggio. Oltre che un bel gruzzolo di quattrini che arricchirà molti dei dipendenti e dei finanziatori di Menlo Park.
Perché, diciamocela tutta, cinque miliardi non sono mica quattro soldi. Google, per dire, racimolò a suo tempo (nel 2004) una cifra quasi tre volte inferiore (1,7 miliardi di dollari). E prima di oggi era in testa nella speciale classifica dei collocamenti tecnologici.

Obiettivo 100 miliardi di dollari

Ad accompagnare Facebook verso il collocamento a Wall Street ci sarà Morgan Stanley, in qualità di capofila, più altre quattro istituti di livello mondiale (Barclays Capital, Goldman Sachs, Bank of America Merrill Lynch e JPMorgan). L’ipotesi – accreditata da più parti – è che il social network arrivi in primavera a una valutazione complessiva compresa fra i 75 e i 100 miliardi dollari. Il che – giusto per dare un’idea – proietterebbe la creatura di Mark Zuckerberg nella top 25 delle aziende più quotate d’America. Superando colossi del calibro di Disney (70 miliardi di market cap) e General Motors (38 miliardi).
Al di là delle cifre, ciò che più conta è che Facebook ha deciso di diventare grande, compiendo l’ultimo passo che ancora le mancava per portarsi sullo stesso piano delle aziende dell’Olimpo informatico, da Apple a Microsoft, da Google ad Amazon.
Anche se in realtà grande lo è già da un po’. Lo è nel numero di utenti (845 milioni); lo è nel business (3,7 miliardi di fatturato e 1 miliardo di utile netto nel 2011); ma soprattutto lo è nelle prospettive, giacché per molti addetti ai lavori Facebook è il posto migliore per investire sul Web.
Non solo per il suo straordinario bacino di utenza (a conti fatti si tratta di quasi un decimo della popolazione terrestre) ma anche per la sua capacità di dare alle aziende dei target estremamente “profilati” in termini di gusti e orientamenti di consumo.
Insomma, Facebook è già da qualche tempo qualcosa di più di quel sitarello creato da quattro amici al college nel “lontano” 2004. Forse qualcosa che si avvicina all’essenza stessa di Internet, quello che era AOL 15 anni fa e Google cinque anni fa. Perché in fondo all’interno di Facebook c’è tutto quello che l’utente medio può desiderare oggi per la sua vita digitale.
Ci sono gli strumenti di comunicazione, compresa l’email, la chat e la video chat, ci sono i giochi, le applicazioni, ci sono le foto (con 250 milioni di immagini caricate ogni giorno è il più grande archivio fotografico del mondo), la musica e i contenuti di ogni genere che vengono condivisi dagli utenti di tutto il Pianeta.
A differenza di Google – che viene utilizzato in modo molto frammentario e schizzofrenico – Facebook è un luogo nel quale gli utenti si fermano e passano il proprio tempo. Le ultime statistiche ci dicono che ogni iscritto passa in media 700 minuti al mese e che circa la metà di loro si collega almeno una volta al giorno.
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Le ragioni per invogliare gli investitori

Di certo la quotazione in borsa ci dirà di più su quelle che sono le reali ambizioni di Mark Zuckerberg. Uno che, è bene ricordarlo, avrebbe potuto vendere la sua creatura a Google o qualsiasi altro danaroso pretendente quando ancora non valeva nulla, ma ha sempre tenuto duro. Convinto che, presto o tardi, i frutti sarebbero arrivati.
Il perché di tanta ostinazione lo si legge fra le righe del documento depositato in SEC, e in particolare fra le ragioni che fanno del social network un elemento di valore per gli investitori pubblicitari e i marketers. Facebook sottolinea in particolare quattro aspetti: il raggio d’azione, la pertinenza, il contesto sociale e il coinvolgimento.
- Il raggio d’azione sta - ovviamente - nello straordinario bacino di utenti, ripetiamolo 845 milioni (che potrebbero diventare un miliardo entro l’estate).
- La pertinenza fa riferimento alla capacità di offrire al mercato un quantitativo di dati associati ai propri utenti senza pari, online come offline. Perché, non dimentichiamocelo, ogni volta che clicchiamo su Mi Piace, ogni volta che condividiamo un link o ascoltiamo una canzone, il database di Facebook si arricchisce di dati essenziali per capire meglio chi ha di fronte: nome e cognome, città di origine, età, ma anche amici, membri familiari, gusti e preferenze. In fondo è quello che il marketing ha sempre inseguito per anni. Ed è ciò per cui i grandi marchi sono disposti ad aprire i portafogli.
- Il contesto sociale indica quel fenomeno “virale” che permette a Facebook di moltiplicare la propria azione (anche quella di marketing) nel giro di pochi minuti. In fondo: esiste suggerimento migliore di quello che ti arriva direttamente da un amico?
- Il coinvolgimento, infine, è ciò che fa di Facebook uno strumento alla portata di tutti, comprese le aziende. Che di fatto possono entrare facilmente nel Web e aprire un canale diretto per dialogare con i propri consumatori.
Di certo molti dei soldi che arriveranno dal collocamento in Borsa verranno utilizzati per rafforzare la posizione della società su questi quattro fronti, soprattutto in quelle aree geografiche nelle quali il social network non è ancora fortissimo in termini di penetrazione (come Brasile, Germania, India, Giappone, Russia e Corea del Sud). A ciò si aggiungeranno gli investimenti nell’area della mobilità (allo stato attuale circa la metà degli utenti accede al social network attraverso smartphone o dispositivi mobili) e quelli per migliorare l’integrazione della piattaforma con le applicazioni sviluppate da terze parti. “Il successo della nostra piattaforma per gli sviluppatori e la vitalità del nostro ecosistema sono la chiave per aumentare il coinvolgimento dei nostri utenti“, sottolinea la società.
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Non è tutto oro quello che luccica

Le incognite, ovviamente, non mancano. Ed è la stessa società ad ammetterlo quando parla dei potenziali rischi per gli investitori. Sottolineando, fra le altre cose, le difficoltà legate alla necessità di aumentare la propria base di utenti (già piuttosto robusta) mantenendo allo stesso tempo quella consolidata.
E quelle che riguardano la limitazione di un business che tutto sommato rimane per lo più ancorato alla pubblicità online. Dei 3,7 miliardi di dollari miliardi di dollari ricavati nel 2011, infatti, circa il 90% arriva dalla pubblicità e in particolare dal display advertising, un’area nella quale Facebook ormai guarda tutti dall’alto (oltre il 16,3% di mercato, rivela eMarketer).
La società confida in questo senso di aumentare il proprio giro d’affari nei pagamenti online, sfruttando la propria valuta digitale (i Facebook Credits) e la crescita dei cosiddetti virtual goods, i beni virtuali che vengono venduti nei giochi che gravitano intorno alla sua piattaforma. Un mercato che ha in Zynga il suo massimo esponente e che secondo le stime varrà nel 2014 circa 15 miliardi di dollari.
Al di là dei due aspetti citati, ci sono poi una serie di variabili di rischio che vale la pena sottolineare.
C’è innanzitutto la volatilità di Internet, un territorio nel quale si fa in fretta a passare dall’altare alla povere (la parabola di AOL e Yahoo ha molto da insegnare in questo senso).
Ma c’è soprattutto l’incognita di quella che potrebbe essere la nuova operatività della società dopo lo sbarco in borsa. Di fronte a un azionariato pubblico gli errori del passato non saranno più ammessi o perlomeno dovranno essere giustificati in modo diverso rispetto a quanto fatto in passato. Come sottolinea il Financial Times, Facebook è diventato quello che è grazie a un modus operandi fatto di azioni rapide, errori e azioni correttive.
In questo senso bisognerà vedere quanto Wall Street e (Washington) saranno tolleranti davanti ai passi falsi di Zuckerberg e soci (la minaccia maggiore è ovviamente rappresentata dalla privacy, da sempre vero tallone d’Achille del social network).
E bisognerà capire quanto questo nuovo status possa influire sull’innovazione all’interno della società .
È l’inizio di qualcosa o la fine? si chiede Mathew Ingram su GigaOM, puntiualizzando che in fondo Facebook non aveva tutta questa necessità di reperire finanziamenti visto che aveva già ottenuto svariati miliardi di dollari dai fondi di Goldman Sachs, Yuri Milner, Li Ka-shing, e da altre venture capital.
Ancor più severo è il giudizio di Joshua Brown su Reformed Broker che paragona Facebook a una gigante rossa (lo stato astronomico che hanno le stelle prima di morire): “C’è una grossa differenza fra Facebook e gli altri giganti tecnolgoci del passato come Apple, Google, Oracle, IBM, Yahoo, Netscape and Cisco. La differenza è che Facebook sarà il primo gigante tecnologico a quotarsi dopo aver raggiunto il suo picco di crescita. E’ altamente incerto che la presenza sul Web e l’impegno dell’azienda possano crescere o migliorare. Le altre società hanno offerto agli investitori pubblici la possibilità di investire prima dell’età dell’oro, ma in questa nuova era la parte del leone in termini di crescita sulla valutazione è stata assegnata a una relativamente piccola manciata di investitori che hanno agito nella fase precoce e le persone devono accettarlo”.
Insomma ce n’è abbastanza per fare di Facebook la società dell’hitech con il maggior numero di riflettori puntati. A Mark Zuckerberg e al suo (ora ricco) entourage il compito di rassicurare tutti, investitori in primis.

fonte: blog.panorama.it

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