Nei giorni scorsi, si è tenuta a Milano la prima edizione della Socialytics Conference, organizzata da Idc
per chiarire alle figure dell’It e del marketing della aziende a che
punto sia lo sviluppo di strategie su questo fronte, che ne fa uso e
come, nonché cosa sia lecito attendersi dagli investimenti fatti o
pianificati.
Qualche indicazione univoca è certamente emersa,
fornendo, se non proprio indicazioni concrete su dove concentrare gli
sforzi, almeno qualche idea su cosa stiano facendo le aziende.
L’indagine di “cappello” realizzata da Idc per introdurre la materia
dice che, su un campione di poco inferiore alle cento imprese, l’87% ha
veicolato qualche porzione della propria comunicazione sulle reti
sociali, con preferenza per Facebook (76), ma una quota non trascurabile
che si è indirizzata anche verso LinkedIn.
Dai dati, ma soprattutto da molti degli interventi succedutisi durante la conferenza, si può desumere che il tema del monitoraggio dei social network,
delle iniziative dedicate e dell’analisi dei dati raccolti sia un
terreno ancora confinato nel campo del B2C, per questioni di numeri, ma
anche di attitudini di utilizzo di questo genere di strumenti.
Parimenti, appare chiaro come da questo fronte sia lecito ottenere una
propagazione dei brand (non necessariamente un rafforzamento in chiave
positiva), ma non ci sia ancora modo di capire se ci sia un’influenza
più o meno diretta sulle vendite.
Difficile convertire il navigatore in un cliente
La
sensazione è che si percepisca il potenziale dell’interazione e anche
dell’indirizzamento di grosse fette di pubblico verso iniziative o
specifici messaggi, ma non si sappia come convertire i flussi verso il
business, a meno di non essere totalmente o pesantemente impegnati
nell’e-commerce. In questo senso, la conferenza ha fornito indicazioni
persino contraddittorie. Andrea Andreotti, capo del marketing
interattivo in Samsung, ha proposto un intervento dal
quale si è desunto come un’azienda di grandi dimensioni e un forte
orientamento B2C non possa non avere una struttura dedicata ai social
media, ma come sia difficile andare oltre lo sfruttamento del mezzo per
qualcosa di diverso dalla riproposizione in chiave appena riverniciata
di strumenti e attività di marketing tradizionale. Ancora più singolare
l’esperienza di Macron, raccontata dal Cio Gianpio
Prencipe, che ha citato il caso della maglietta di colore “mimetico”
scelta dal Napoli Calcio come divisa da trasferta per la nuova stagione:
forte dibattito in Rete, perlopiù fatto di critiche, ma scorte comunque
esaurite in poco tempo.
La realtà ci dice che i consumatori hanno
comportamenti ancora poco influenzati non solo dalla socializzazione
tecnologica delle proprie esperienze, ma persino dalla qualità dei
servizi ricevuti. Basti pensare, banalmente, al rapporto che esiste fra
utenti e banche per rendersi conto di quanto scarso sia il “churn”
consapevole. Spostandoci verso le reti sociali, siamo lontani
dall’ipotesi di crollo commerciale per un’azienda come EasyJet,
che nei giorni scorsi stava negando il diritto di volo a un proprio
regolare passeggero, reo di aver postato un commento negativo su
Twitter. La notizia ha fatto il giro del mondo, oltre che della Rete, ma
il business della compagnia aerea ne risentirà negativamente?
Soprattutto incognite per chi opera nel B2B
Trasportando
queste considerazioni nel mondo B2B, il problema si amplifica. L’evento
di Idc non ci è venuto in soccorso in modo esplicito, se non negli
interventi ovviamente marketing-oriented dei vendor presenti come
sponsor, ma appare chiaro come non esistano metodologie e strategie
certe per generare business diretto da iniziative di tipo social, a meno
di non legarle a idee mutuate dal marketing tradizionale.
Altrimenti, il gioco ancora non vale la candela e impegnare risorse
solo per gestire relazioni con una parte minima della clientela o dei
prospect (saranno poi tali?) può rivelarsi, di questi tempi,
antieconomico.
Sia chiaro, i social media sono una realtà che nessuno
può trascurare. La citata indagine di Idc ci ha mostrato come le
aziende più impegnate siano partite su input del management, delle linee
di businesse e, soprattutto, del marketing. A qualche risultato
realmente utile per il business, tuttavia, si potrà arrivare solo con la
costante e sistematica analisi dei dati ricavati dal mondo social. Questo è un compito che spetta all’It
e che rientra nelle strategie di business collegate alla tecnologia che
ogni azienda gestisce (o dovrebbe gestire). Tanto per cambiare, in
sintesi, il concetto di “socialytics” proposto da Idc ha senso solo
laddove esiste un’organizzazione ben strutturata, collaborativa e
orientata al business in modo moderno, con una visione capace di
coniugare urgenze di breve periodo con risultati raggiungibili in tempi
più dilatati. Quanti sono gli imprenditori e i manager oggi preparati a
questo?
fonte http://www.impresacity.it/enterprise-management/2557/belli-i-social-media-ma-al-business-servono-.html
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giovedì 3 ottobre 2013
Belli i social media, ma al business servono?
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